Sede Storica
La sede storica dell'Associazione Mineraria Sarda
Fin dalla costituzione, l’Associazione Mineraria Sarda teneva le sedute periodiche in un’aula della Scuola Mineraria a sua volta ospitata nei locali del convento dei Minori Conventuali. L’Associazione avvertì, in ogni modo, la necessità di avere un locale proprio nel quale tenere le riunioni, ma anche per accogliere l’archivio e le collezioni mineralogiche.
Nella seduta del 17 gennaio 1897 il presidente ing. Giorgio Asproni dichiarò che l’ospitalità della Scuola Mineraria non poteva continuare ancora a lungo. Era, quindi, giunto il momento di pensare ad una sistemazione più conveniente, in grado di corrispondere adeguatamente al ruolo che l’Associazione andava conquistando in forza dell’attività scientifica svolta dai soci, dalla quale traeva vantaggio l’industria mineraria. Asproni avanzò, inoltre, la proposta di unirsi all’Associazione Utenti Caldaie a Vapore per ripartire le spese d’affitto.
In quello stesso scorcio di tempo la Cooperativa di Consumo Monteponi era in procinto di realizzare uno stabile ad uso proprio. In considerazione di tale fatto il socio C.T. Floris suggerì che l’Associazione non avrebbe dovuto impegnarsi per lungo tempo, poiché sia l’A.M.S. sia l’Associazione Caldaie avrebbero potuto sistemarsi al piano superiore della progettata cooperativa.
La seduta del 17 ottobre 1897 si tenne, sotto la presidenza di G.B.A. Lambert, al 2° piano del n. 19 di Via Carpentieri, oggi Via Musio. L’appartamento di Via Carpentieri era condiviso con l’Associazione Utenti Caldaie a Vapore che contribuiva paritariamente alle spese d’affitto.
L’esigenza di avere una sede propria era, in ogni caso, molto sentita.
Nella riunione del 18 marzo 1900 l’ing. Erminio Ferraris presentò il disegno di un progetto, che donò all’Associazione, per un “Club Minerario” da realizzarsi in Iglesias. L’Assemblea esaminò il progetto e stabilì in circa 60.000 lire, la spesa necessaria alla sua realizzazione. Era impensabile mettere insieme quella somma con le sole forze dell’Associazione.
L’ing. Ferraris propose di emettere obbligazioni il cui onere avrebbe dovuto gravare sulle Società minerarie, che avevano l’obbligo morale di sostenere l’iniziativa, poiché traevano vantaggio dall’attività scientifica dell’Associazione.
Fu nominato un Comitato promotore composto dai presidenti delle principali Società minerarie, con il mandato di presentare una proposta concreta per la realizzazione del progetto. A quel momento erano giunte solo due offerte, quella di Lord Brassey e quella della Società di Monteponi per 5.000 lire ciascuna. Si ritenne, quindi, di riesaminare il progetto originale rendendolo più modesto per abbassare i costi di realizzazione.
Il nuovo progetto doveva prevedere un edificio a due piani: un pianterreno composto di due ambienti per l’Associazione Utenti Caldaie a Vapore e dal Sindacato Infortuni, e un locale per museo.
Il primo piano, a disposizione dell’Associazione, avrebbe dovuto accogliere una gran sala per riunioni, un’altra per ufficio e altre due camerette di servizio per il custode.
La realizzazione del nuovo progetto avrebbe richiesto una spesa complessiva di 38.000 lire circa, alle quali si sarebbero dovute aggiungere altre 2.000 lire per gli imprevisti e per gli arredi. Pertanto, occorreva un fondo di 40.000 lire. Questo fondo si sarebbe dovuto recuperare fra i soci e fra le amministrazioni minerarie, che avrebbero dovuto sottoscrivere 400 buoni obbligazionari del valore di 100 lire, senza interessi e rimborsabili per estrazione.
Alla fine della discussione si assunsero le seguenti deliberazioni:
- provvedere alla realizzazione di un proprio edificio per sede dell’Associazione;
- approvare il progetto elaborato dalla Presidenza con una spesa presunta di 40.000 lire;
- accendere un prestito di 40.000 lire, rappresentato da 400 cartelle da 100 lire, rimborsabili in solo capitale per estrazione a sorte;
- dare potere alla Presidenza di stabilire le condizioni del prestito, di curare il collocamento delle cartelle, prendere impegni per l’esecuzione dell’opera.
Per sovrintendere alla realizzazione dell’opera fu nominata una commissione della quale fecero parte i soci ing. Gustavo Cappa, ing. Roberto Cattaneo e l’ing. G.B. Angelo Lambert.
La raccolta delle sottoscrizioni continuava regolarmente. La Società Anonima di Malfidano offrì 5.000 lire e altrettanto l’ing. Giorgio Asproni. Asproni, però, subordinò la sua offerta a due condizioni:
- che per il progetto della Palazzina fosse bandito un concorso pubblico o tra i soci;
- che il progetto comprendesse i locali della Scuola dei Capi Minatori.
Alla fine del 1902 nessun progetto per la costruzione della Palazzina sociale era pervenuto ed, inoltre, la Commissione esecutiva aveva presentato le sue dimissioni.
Il sistema delle obbligazioni per trovare i fondi necessari alla realizzazione della sede sociale si rivelò impercorribile, perché soltanto le associazioni erette in Ente Morale avevano facoltà di emettere prestiti obbligazionari dietro solide garanzie patrimoniali. Per esplorare altre possibilità fu proposta la costituzione di una commissione. Dopo due mesi d’intenso lavoro la Commissione riferì sui risultati raggiunti.
Apparve subito chiara l’impossibilità di percorrere la strada del prestito obbligazionario poiché questa facoltà era riservata a quelle istituzioni riconosciute in Ente Morale. Inoltre, per rivestire tale qualifica, era necessario avere un proprio patrimonio di almeno 20.000 lire.
Per recuperare le risorse era necessario ricevere contribuzioni a fondo perduto, soprattutto, dalle società minerarie. Solo dopo l’erezione in Ente Morale, e la costituzione di un fondo bancario di 20.000 lire, si sarebbero potute emettere le obbligazioni per raggiungere la somma necessaria alla costruzione della Palazzina.
L’Assemblea deliberò di chiedere a chi aveva già sottoscritto le di obbligazioni, se intendeva convertirle in contribuzioni a fondo perduto. La somma da raccogliere a fondo perduto, inoltre, doveva essere di almeno 25.000 lire.
Le prime a rispondere furono la Società di Monteponi e le Società di Pertusola e di Gennamarì-lngurtosu. Queste ultime per voce del loro presidente, Lord T.H. Brassey, si dissero pronte a versare a fondo perduto 5.000 lire a condizione che le altre amministrazioni minerarie facessero altrettanto.
Altra condizione posta da Brassey, fu quella che la Palazzina dell’Associazione non sarebbe stata mai alienata e che in caso di scioglimento del sodalizio la proprietà passasse alla “Congregazione di Carità di Iglesias”.
Brassey avanzò anche la proposta che le Società Minerarie dovevano sostenere l’A.M.S. con un contributo annuo per i meriti conquistati nelle ricerche geominerarie. Da parte sua s’impegnò al versamento di una quota annuale di 250 lire, sia per la Società Pertusola sia per quella di Gennamari-lngurtosu. Le altre società avrebbero dovuto versare in proporzione alle loro risorse.
La Società di Monteponi versò 2.500 lire a fondo perduto e assunse l’impegno per altre 2.500 lire per eventuali sottoscrizioni di obbligazioni.
G. Asproni dette 5.000 lire. Mise la condizione che la sede sociale dell’Associazione non si sarebbe dovuta mai spostare da Iglesias e che, in caso di scioglimento, l’istituto di beneficenza prescelto fosse quello che meglio rispondesse ai bisogni dei minatori.
L’Assemblea del 19 aprile 1903 approvò un ordine del giorno che conteneva sia le proposte Brassey sia quelle Asproni. Deliberò, inoltre, che l’edificio sociale da costruirsi non sarebbe stato altro che sede dell’Associazione. In caso di scioglimento di quest’ultima, la Palazzina e tutte le sue pertinenze andassero cedute ad istituti di beneficenza che curassero gli interessi dei minatori.
Nel maggio del 1903 la sottoscrizione a fondo perduto aveva raggiunto la somma di 22.500 lire, e anche la proposta Brassey di un versamento annuo trovò accoglienza in numerose società minerarie. Visto il successo delle sottoscrizioni, si dette inizio al progetto per la costruzione della sede sociale.
Al fine di guadagnare tempo fu proposta la costituzione di una commissione che avrebbe approntato le norme per il bando di un concorso. Fecero parte della Commissione i soci: Ferrari, Folco e Mossa i quali, nella seduta del 21 giugno 1903, presentarono uno schema di concorso che l’Assemblea approvò.
A metà novembre del 1903, con gran soddisfazione di tutti, A. Ferrari, vicepresidente, comunicò all’Assemblea che la sottoscrizione a fondo perduto aveva raggiunto le 30.000 lire. Per il riconoscimento in Ente Morale dell’Associazione, inoltre, era stata presentata la domanda.
I 17 progetti presentati furono esposti al pubblico in una sala dell’Associazione. La Commissione condusse un esame più dettagliato su sette di essi. Nessuno restava nei limiti della spesa fissata nel bando di concorso. Fu premiato il progetto che portava il motto “Artium natura lex” dell’architetto Francesco Sappia, di San Remo.
Finalmente, il 3 giugno 1904, la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia pubblicò il decreto che erigeva l’Associazione Mineraria Sarda in Ente Morale. II socio Folco, che trattò l’acquisto del terreno, nella seduta del 19 giugno 1904 riferì sui risultati ottenuti nell’esaminare le forme più idonee per procedere alla realizzazione dell’opera. Frattanto le pratiche per l’acquisto del terreno andarono a buon fine.
Con trattative condotte con il sottoprefetto Cav. Abetti, l’A.M.S. ottenne la cessione di un terreno di 100 m di lunghezza per 40 m di larghezza. L’area, adiacente la strada di circonvallazione (oggi Via Roma), aveva una superficie totale di 4.000 mq e costò 1.200 lire. L’Associazione, inoltre, ebbe assicurazione formale che la parte rimanente di terreno, da destinare alla futura sede della scuola per capi minatori, sarebbe stata riservata per due anni.
Intanto, era già stato nominato direttore dei lavori l’ing. Queirolo (in seguito sostituito dall’ing. Efisio Usai), e l’assistente, tal Elia Orrù. I capitolati d’appalto per l’esecuzione dell’opera erano stati approntati. Fu concluso il contratto d’acquisto del terreno con il Comune e stipulato l’appalto con un impresario di Cagliari, Ilario Giannoni, che s’impegnò a realizzare l’opera in dieci mesi.
L’Assemblea generale del 17 gennaio 1905 si tenne in un clima di comune soddisfazione per il buon andamento dei lavori. La Commissione per l’accensione del prestito aveva terminato i suoi lavori e avrebbe presentato, di lì a poco, le proposte per procedere alla contrazione del mutuo.
Il capitale a fondo perduto versato dalle società minerarie a tutto il 1905, ammontava a 28.900 lire al quale dovevano aggiungersi gli interessi già maturati che portarono la somma a circa 30.000 lire. Erano stati calcolati in 50.000 lire i costi per terminare la palazzina, chiudere il terreno e dotare di mobilio e attrezzature i locali. L’entità del mutuo, quindi, doveva essere di 20.000 lire.
Il prestito obbligazionario doveva realizzarsi con l’emissione di obbligazioni da 100 lire con l’interesse del 3,50%. La Presidenza ritenne di procedere all’emissione di una prima serie di cento obbligazioni per un valore di 10.000 lire per il 1905, e di una seconda di pari misura, il 1 aprile del 1906. Calcolando l’importo delle sovvenzioni annuali fu stabilito un piano d’ammortamento che, a cominciare dal 1907, si sarebbe concluso entro il 1928.
Occorreva, tuttavia, recuperare altre 2.500 lire che, sommate alle sottoscrizioni delle Società di Nebida, della Vieille Montagne e della Monteponi, avrebbero raggiunto somma di 10.000 lire necessarie a coprire la prima emissione. Una sottoscrizione fu aperta tra i soci per 125 obbligazioni al 3,50% al netto delle imposte, del valore di 100 lire l’una.
L’esecuzione dei lavori per la costruzione della palazzina procedeva con qualche difficoltà, per divergenze sorte con l’impresa costruttrice sull’interpretazione di alcune parti del capitolato. Per ridurre i tempi e le spese il progetto subì alcune modifiche. Furono rinviati la sistemazione del terreno e la messa a dimora di piante e fiori.
Il 19 novembre 1905, nonostante i lavori di rifinitura della palazzina non fossero conclusi, la seduta si tenne nella sala delle adunanze della nuova sede sociale.
E. Ferraris propose che per celebrare degnamente la presa di possesso della palazzina, in occasione della seduta successiva, si svolgesse un pranzo riservato ai soli soci, non avendo l’incontro carattere d’inaugurazione ufficiale.
G. Asproni propose che fosse preparata una targa marmorea, nella quale fosse scritto che le società minerarie e gli ingegneri delle miniere sarde, concorsero all’erezione della palazzina.
Il segretario Chichon avanzò l’idea “…di riunire in un quadro artistico tutte le fotografie dei Soci dell’Associazione”.
Il socio A. Ferrari, nella medesima seduta, donò all’Associazione, per conto della Società Anonima Esplodenti, una riproduzione di bronzo della statua “Dans la mine” del Tolriv.
Finalmente, a tredici mesi esatti dalla firma dell’appalto, con novanta giorni di ritardo sui tempi previsti, nonostante alcuni lavori da terminare, il 17 dicembre 1905, l’Associazione prese possesso della nuova sede sociale. Vi tenne la prima seduta ufficiale che si concluse con un pranzo di gala. Con il presidente U. Cappa erano presenti i soci: G. Asproni, G. Cappa, A. Ferrari, E. Ferraris, C. Folco, Georgiades, L. Henrotin, G. Pavan, Pompei, C. Parnisari, R. Sanna, Taschini.
Il presidente U. Cappa nel concludere il suo mandato dichiarò:
“…ad ogni modo possiamo oramai dire di essere in casa nostra e la nostra Associazione così solennemente affermatasi può guardare fiduciosa l’avvenire. Questa casa che ora tutti ci raduna sia a noi simbolo di solidarietà e cooperazione in tutto quanto può riuscire utile al progredire del nostro Sodalizio”.
Il bilancio straordinario, riguardante la costruzione della palazzina, indicava una spesa fino a quel momento di 47.871,23 lire. Le entrate sommarono a 53.603,44 lire così suddivise: 29.903,44 lire acquisite con versamenti a fondo perduto, 25.700 lire sottoscritte con le obbligazioni. Il conto finale liquidato all’impresa fu di 49.056,20 lire, alle quali si dovevano aggiungere le spese accessorie relative alla chiusura del terreno e all’acquisto dei mobili. Per far fronte alle ultime spese furono emesse altre settanta obbligazioni da 100 lire con l’interesse del 3,5% netto.
Fu calcolato che occorressero 8.000 lire da recuperare attraverso l’emissione di obbligazioni fra i soci, portando il debito totale a 34.000 lire, cifra che con gli ammortamenti, gli interessi e le imposte avrebbe gravato pesantemente sul bilancio dell’Associazione.
La Commissione, incaricata di trovare una soluzione al problema, avanzò l’idea che l’unico modo sarebbe stato quello di annullare il debito, invitando i soci a convertire le obbligazioni in loro possesso in concorso a fondo perduto. Fu condotta un’indagine tra i soci per verificare la loro disponibilità a tramutare le obbligazioni in contributo a fondo perduto, ma non tutti accolsero l’invito.
A causa della non florida situazione finanziaria, la Presidenza sollecitò con una circolare le società minerarie a dare un ulteriore e definitivo contributo. T.H. Brassey rispose prontamente dichiarandosi disposto a contribuire con altre 1.000 lire a fondo perduto, a condizione che le quattro principali società, Monteponi, Malfidano, Montevecchio e Vieille Montagne, concorressero con 500 lire ciascuna.
Per i lavori del giardino, G. Asproni raccomandò che fossero coordinati con la sistemazione dell’area attigua sulla quale sarebbe sorta la Scuola Mineraria. A questo proposito il Comune di Iglesias rivolse richiesta affinché l’Associazione concedesse il permesso a che il lato nord della Scuola Mineraria, confinante con il versante sud del giardino, avesse diritto di prospetto e di luce. La concessione fu immediatamente accordata alla sola condizione che le finestre del pianterreno avessero avuto inferriate, e con l’assoluta esclusione di aprire porte ad altri passaggi.
Per il rettangolo di terreno ad ovest della scuola e a sud della palazzina (dove ora sorge il fabbricato ex dispensario), G. Asproni propose di invitare il Comune a non cedere quel terreno ad altri, ma di realizzare una pubblica piazza.
L’Associazione Utenti Caldaie a Vapore e il Sindacato Infortuni, il quale ottenne altri due vani per creare un ispettorato medico ed un Istituto di Fisioterapia, occuparono i locali già dal 1906.
Nel 1921 si operarono alcuni interventi di restauro della Palazzina. Per coprire le spese necessarie fu decisa l’emissione di obbligazioni di 500 lire ognuna rimborsabili in numero di quattro l’anno. Al 1° ottobre dello stesso anno furono sottoscritte obbligazioni, per un importo complessivo di 12.000, lire alle quali si aggiungeranno altre sei obbligazioni assunte da G. Asproni per coprire interamente la somma di 15.000 lire. Il debito fu estinto nei nove anni successivi.
Nel 1925, fu decisa l’apertura di una nuova porta nel muro di cinta, in corrispondenza degli uffici del Sindacato, per contenere il continuo flusso di persone che attraversavano il viale per recarsi al Sindacato Infortuni. Nel 1926, il Sindacato Infortuni con la creazione dell’Istituto Fascista per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (l’attuale INAIL), fu liquidato.
Nello stesso anno fu istituita l’Associazione Nazionale per il controllo della Combustione che, di fatto, aboliva l’Associazione Utenti Caldaie a Vapore.
Frattanto nel terreno adiacente quello dell’Associazione, nel lato sud, fu costruito un edificio (ex Dispensario) da destinare ad Istituto di Fisioterapia, sovvenzionato in gran parte dalla Società di Monteponi e intestato ad E. Ferraris.
L’Associazione cedette nel 1934 a titolo gratuito, una striscia di terreno larga circa due metri e lunga quanto la linea di confine, per la costruzione, a spese del Sindacato, di un muro che avrebbe diviso le due proprietà.
I locali del piano terra, nel 1940, furono dati in affitto all’E.N.P.I (Ente Nazionale Prevenzione Infortuni) che v’installò alcune attrezzature tra le quali una macchina per radiografie. Con la fine della guerra, i macchinari furono trasferiti all’ospedale dell’INAIL appena inaugurato. Da allora i locali del piano terra della Palazzina avrebbero ospitato numerose associazioni.
Testi di Franco Todde